Prestazioni sociali e INPS

Prestazioni sociali e INPS

Aggiornamento al 30/06/2024

Che cos’è l’assegno unico universale?
La prestazione (introdotta con legge n. 46/21 e con d.lgs. 230/2021) è entrata in vigore il 1° marzo 2022 ed è attribuita alle famiglie per ogni figlio minorenne a carico e fino alla maggiore età o, al ricorrere di determinate condizioni, fino ai 21 anni di età; in caso di disabilità del figlio, l’assegno unico è riconosciuto senza limiti di età. Per figli “a carico” si intendono quelli inclusi nel nucleo familiare ai fini ISEE e dunque, se minorenni, i figli che convivono con i genitori; i figli maggiorenni (18-21 anni) sono considerati a carico anche se non conviventi, purché siano a carico ai fini IRPEF (quindi con redditi inferiori a 4.000 euro), non siano sposati e non abbiano figli. L’importo è stabilito in base al valore ISEE del nucleo familiare e al numero figli, tra un minimo di 57 euro e un massimo di 199 €. L’AUU assorbe quasi tutte le altre prestazioni a sostegno della famiglia, ovvero: premio alla nascita o all’adozione, assegno al nucleo familiare, assegno di natalità - cd. bonus bebè, detrazioni fiscali per figli fino a 21 anni (restano applicate le detrazioni per i figli 21 – 24 anni se studenti e quelle per il coniuge a carico). A differenza dei precedenti assegni al nucleo familiare, si tratta di una prestazione “universale” cioè non più collegata alla condizione di lavoratore: spetta quindi anche a lavoratori autonomi e disoccupati.
A chi spetta l’assegno unico universale?
In base alla legge e ai chiarimenti resi dall’INPS con circolare del 9 febbraio 2022 n. 23 e con messaggio 2951/2022, l’assegno spetta:
  • ai cittadini italiani e di Stati dell’Unione Europea;
  • ai titolari di permesso per soggiornanti di lungo periodo;
  • ai titolari di permesso unico di lavoro ai sensi della direttiva 2011/98 (quindi di permessi per famiglia o per lavoro o per attesa occupazione) a condizione che il permesso sia di durata superiore a 6 mesi;
  • ai familiari non comunitari di cittadini dell’Unione europea;
  • ai titolari di protezione internazionale (status di rifugiato politico o protezione sussidiaria);
  • ai titolari di permesso per lavoro autonomo;
  • ai lavoratori stagionali;
  • ai titolari di “carta blu” (il permesso per lavoratori altamente qualificati);
  • ai cittadini di Algeria, Tunisia, Marocco;
  • ai titolari di permesso per assistenza minori (art. 31 TUI);
  • ai titolari di protezione speciale e di “casi speciali”;
  • agli apolidi.
È inoltre richiesto che il beneficiario sia residente in Italia per tutta la durata del beneficio e sia stato residente in Italia, prima della domanda, per almeno due anni, anche non continuativi. La residenza biennale non è richiesta per chi è titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale (in pratica, chi ha un rapporto di lavoro può ottenere gli assegni anche appena entrato in Italia). Restano quindi esclusi dalla nuova prestazione tutti i titolari di permessi non compresi nell’elenco di cui sopra (per es. i titolari di permesso per richiesta asilo e i titolari di permessi espressamente esclusi (messaggio INPS n. 2951 citato), i quali pertanto non godranno più di nessun sostegno alla famiglia neppure se lavorano, stante la soppressione degli assegni al nucleo familiare e delle detrazioni fiscali per figli a carico. Si tratta dei seguenti permessi:  
  • permesso per attesa occupazione;
  • tirocinio e formazione professionale;
  • studio;
  • residenza elettiva;
  • visite, affari, turismo.
Quanto ai titolari di permesso per attesa occupazione, però, già due sentenze (Tribunale di Trento e Tribunale di Torino) hanno riconosciuto il diritto alla prestazione, mentre per i titolari di permesso per richiesta asilo si segnala che il Tribunale di Padova ha rimesso alla Corte costituzionale la questione della loro esclusione dall’assegno temporaneo (la prestazione temporanea precedente all’AUU), con decisione che dunque potrebbe avere effetti anche sulla prestazione in esame.
Che cosa è l’assegno di maternità di base (cosiddetto assegno di maternità “dei comuni”)?
La prestazione (disciplinata dall’art. 74 del d.lgs. 151/2001) non è assorbita dall’assegno unico universale. La domanda deve essere presentata dalla madre (o dal padre se unico genitore o se affidatario) al Comune di residenza entro 6 mesi dalla nascita del bambino o dall'effettivo ingresso in famiglia del minore adottato o in affido preadottivo.
A chi spetta l’assegno di maternità di base?
L’assegno (che per il 2024 ammonta a euro 2.020,85) spetta alle madri disoccupate e con un reddito inferiore alla somma fissata annualmente dall’INPS (per il 2024: euro 20.221,13). Non è cumulabile con l’indennità di maternità delle lavoratrici dipendenti o autonome; tuttavia nel caso queste ultime siano percepite in importo molto ridotto - ad es. per le lavoratrici part-time - spetta per la differenza. La legge prevedeva che l’indennità fosse pagata solo alle titolari di permesso di lungo periodo. Attualmente invece, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 54/2022 e dei successivi adeguamenti normativi, hanno diritto di ottenere la prestazione:
  • le cittadine italiane e di paesi UE;
  • le cittadine non comunitarie titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo;
  • le cittadine non comunitarie che siano familiari di cittadini italiani o comunitari (circolare INPS n.35 dd. 09.03.2010);
  • le cittadine titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria (circolare INPS n.9 del 22/01/2010);
  • le titolari di “permesso unico lavoro” (permesso per lavoro, per attesa occupazione e per motivi familiari) di durata superiore a 6 mesi.
In base al principio costituzionale di tutela della maternità (art. 31 Cost.) può però ritenersi che anche le madri che hanno titoli di soggiorno diversi da quelli sopra indicati possano far valere il diritto alla prestazione. In caso di mancato riconoscimento, quindi, suggeriamo di rivolgersi ai patronati o associazioni per avviare un eventuale giudizio. È necessario avere la prova dell’invio tempestivo della domanda: se il Comune si rifiuta di ricevere la domanda, occorre fare l’invio a mezzo pec o raccomandata con avviso di ritorno, sempre entro il termine di 6 mesi.
Che cos’è l’assegno di maternità per le lavoratrici atipiche (cosiddetto assegno di maternità “dello Stato”)?
La prestazione (disciplinata dall’art. 75 del d.lgs. 151/01) non è assorbita dall’assegno unico universale. È erogata direttamente dall'INPS e la domanda deve essere proposta all’INPS in via telematica, anche in questo caso entro 6 mesi dalla nascita.
A chi spetta l’assegno di maternità per le lavoratrici atipiche?
Spetta alle donne lavoratrici che non percepiscono l’indennità di maternità ordinaria e che abbiano requisiti contributivi minimi (la lavoratrice deve infatti far valere o tre mesi di contribuzione nel periodo tra 18 e 9 mesi antecedenti il parto, oppure tre mesi di lavoro anche in periodi antecedenti purché non siano passati più di 9 mesi tra la perdita del trattamento di disoccupazione e la data del parto). Se ci sono questi requisiti contributivi è conveniente chiedere questa indennità e non l’indennità di maternità "dei Comuni", perché questa è di importo più elevato (per il 2024 € 2.488,14). Per quanto riguarda i titoli di soggiorno, valgono le medesime questioni sopra esposte per l’indennità di maternità dei Comuni.
Che cos’è il Bonus asilo nido?
La prestazione (disciplinata dall’art. 1, comma 355, L. 232/2016) non è assorbita dall’assegno unico universale. È concessa “per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati, nonché per l’introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione in favore dei bambini al di sotto dei tre anni, affetti da gravi patologie croniche”. Spetta ai genitori di figli nati a decorrere dal 1° gennaio 2016, ma va richiesta all’INPS entro il 31 dicembre di ogni anno. Per i bimbi che frequentano il nido, il bonus viene erogato dietro presentazione di documentazione attestante l’iscrizione e il pagamento della retta a strutture pubbliche o private. Per i bimbi disabili che non possono frequentare il nido a causa della condizione di disabilità (occorre l’attestazione medica), il bonus consiste nell’erogazione di una somma fissa. L’importo massimo rimborsabile varia, a seconda dell’ISEE della famiglia, da 1.500 a 3.000 euro (aumentato per i secondi figli nati nel 2024, a specifiche condizioni). L’INPS riteneva inizialmente che la prestazione andasse riconosciuta, per quanto riguarda gli stranieri, ai soli titolari di permesso di lungo periodo, ma - a seguito di due decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano -  attualmente la prestazione viene pagata a tutti gli stranieri, indipendentemente dal titolo di soggiorno, come indicato nel sito dell’istituto. Qualora gli stranieri privi di permesso di lungo periodo incontrassero difficoltà per ottenere la prestazione è necessario rivolgersi ad associazioni o patronati.
Che cos’è l’assegno al nucleo familiare (ANF), solo per importi non ancora prescritti?
La prestazione, disciplinata dall’art. 2 L.153/1988, è cessata il 28 febbraio 2022 in quanto assorbita dall’assegno unico universale. Tuttavia poiché gli arretrati possono essere richiesti entro 5 anni, è ancora possibile richiede la prestazione per gli anni passati, entro tale limite. Le domande di autorizzazione all’inserimento di familiari residenti all’estero e di pagamento vanno presentate all’INPS. L’assegno è costituito da un importo variabile in base al reddito e al numero di familiari. Si considerano i figli minori (o maggiorenni se studenti), il coniuge o anche altri familiari se in condizione di disabilità.
A chi spetta l’assegno al nucleo familiare?
L’assegno spetta:
  • ai lavoratori dipendenti (e in tal caso viene pagato tramite il datore di lavoro);
  • ai disoccupati titolari di NASPI;
  • ai pensionati da lavoro dipendente.
La legge non richiede che il familiare sia “a carico” o sia convivente, ma prevede una rilevante differenza tra italiani e stranieri a seconda del luogo in cui i familiari risiedono:
  • i cittadini italiani possono computare nel nucleo anche il familiare residente all’estero;
  • i cittadini stranieri possono computare nel nucleo familiare solo i familiari (conviventi o non conviventi) residenti in Italia, salva l’esistenza di specifiche convenzioni con i paesi di origine.
A seguito di due sentenze della Corte di Giustizia Europea del 25 novembre 2020 e della sentenza Corte Cost. 67/2022, questo trattamento differenziato è stato dichiarato in contrasto con le direttive UE sui titolari di permesso di lungo periodo e sui titolari di permesso unico lavoro. Pertanto i titolari di questi due tipi di permesso possono ora ottenere, per i 5 anni antecedenti la domanda, il pagamento degli assegni in relazione ai familiari residenti in Patria o comunque all’estero, producendo i documenti indicati nella circolare INPS n. 95 del 2.8.2022, nei limiti delle effettive possibilità di reperimento della documentazione dello stato estero. In caso di risposta negativa dell’INPS devono proporre ricorso amministrativo e poi ricorso al giudice, rivolgendosi a patronati e associazioni.
Che cos’era il reddito di cittadinanza (RDC)?
La prestazione (introdotta dal DL 4/19 convertito in L. 26/19) è rimasta in vigore per 3 anni circa ed è stata abrogata dall’art. 1 della L. 197/2022 Il beneficio decorreva dal mese successivo a quello di presentazione della domanda ed era concesso per un periodo massimo di 18 mesi, trascorsi i quali poteva essere rinnovato, previa sospensione di un mese, presentando la nuova domanda.
A chi spettava il reddito di cittadinanza?
Il richiedente doveva soddisfare una serie di requisiti economici (tra i quali un ISEE familiare inferiore a 9.360 euro e un reddito familiare non superiore a euro 6.000) e doveva essere stato residente in Italia per almeno 10 anni, di cui gli ultimi due continuativi. Quanto alla cittadinanza, la prestazione era riconosciuta:
  • ai cittadini italiani o di uno Stato dell’Unione Europea;
  • ai familiari di cittadini italiani o dell’Unione;
  • ai titolari del permesso di lungo soggiorno;
  • titolari di protezione internazionale;
  • agli apolidi.
Restavano quindi esclusi tra gli altri anche i titolari di permesso unico lavoro (famiglia, lavoro, attesa occupazione). La Corte Costituzionale con sentenza n. 19 del 25 gennaio 2022 ha ritenuto costituzionalmente legittimo il requisito del permesso di lungo periodo. Nonostante la cessazione della misura, sono tuttavia ancora pendenti molti procedimenti di recupero somme da parte dell’INPS (a seguito di concessione e successiva revoca della prestazione, per carenza dei requisiti), oltre che procedimenti penali per il reato di cui all’art. 7 DL 4/2019. Qualora il requisito contestato sia quello di pregressa residenza decennale, è opportuno tenere presente che:
  1. vanno certamente considerati i periodi di residenza pregressa di fatto (ossia anche in assenza di iscrizione anagrafica: cfr. circolare del Ministero del Lavoro n. 3803/2020 nonché molte sentenze di merito, sia in ambito civile che penale);
  2. sono pendenti davanti alle Alte Corti giudizi sulla legittimità stessa del requisito di lungo-residenza, all’esito dei quali la norma potrebbe essere dichiarata incostituzionale o comunque essere disapplicata per contrasto con normative euro-unitarie.
Tale requisito costituisce infatti una discriminazione indiretta in danno degli stranieri: pur essendo infatti previsto sia per italiani che per stranieri, grava soprattutto su questi ultimi (che hanno maggiore difficoltà a maturare il requisito), con conseguente violazione delle numerose norme che garantiscono il diritto alla parità di trattamento per varie categorie di stranieri (in particolare cittadini UE e loro familiari, lungo-soggiornanti, titolari di protezione internazionale).
Che cos’era la pensione di cittadinanza (PDC)?
Il beneficio assumeva la denominazione di Pensione di cittadinanza se il nucleo familiare era composto esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni. Poteva essere concesso anche nei casi in cui il componente o i componenti del nucleo familiare di età pari o superiore a 67 anni convivessero con una o più persone di età inferiore se queste si trovano in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite ai fini ISEE. La Pensione di Cittadinanza si rinnovava in automatico senza necessità di presentare una nuova domanda e durava quindi al sussistere dei requisiti di reddito. Valgono le stesse considerazioni di cui sopra per gli eventuali procedimenti di recupero o penali pendenti.
Che cos’è l’assegno sociale?
La prestazione (disciplinata dall’art. 3, comma 6, della L. 335/1995) va richiesta all’INPS e spetta a coloro che risiedono in Italia in via continuativa da almeno 10 anni, che abbiano compiuto 67 anni e che risultino in possesso di risorse economiche inferiori ai limiti previsti dalla legge (per il 2024 il reddito massimo è euro 6.947,22 o 13.894,66 con il coniuge). Spesso l’INPS interpreta in modo restrittivo il requisito dei 10 anni di presenza negando la prestazione anche a chi, nel corso dei 10 anni, si è assentato solo temporaneamente, per esempio per recarsi dai parenti all’estero. La rilevanza delle assenze dal territorio è stata oggetto di molte pronunce giudiziarie e con circolare INPS 131/2022 l’Istituto ha regolato la materia stabilendo che non vanno considerate le assenze inferiori a 6 mesi consecutivi (o a 10 mesi anche non consecutivi, nel corso di un quinquennio), salvo particolari motivi: tale regola non è tuttavia pienamente conforme alle indicazioni della giurisprudenza, secondo la quale non è possibile fissare termini uniformi e generalizzati di assenza massima, dovendosi comunque verificare caso per caso le ragioni dell’assenza.  
Quanto ai requisiti di cittadinanza la prestazione spetta:
  • ai cittadini italiani o comunitari;
  • ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo;
  • ai familiari extra-UE di cittadini comunitari;
  • ai titolari di protezione internazionale e apolidi.
Restano esclusi tutti gli altri cittadini stranieri, in particolare i titolari di permesso unico lavoro. La Corte costituzionale (sent. 50/2019) ha ritenuto legittima tale esclusione. Tuttavia con ordinanza n. 29/2024 la stessa Corte Costituzionale ha recentemente disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea, per la verifica della compatibilità della normativa rispetto alla direttiva 2011/98 sui titolari di permesso unico lavoro. L’assegno viene sospeso se il titolare soggiorna all'estero per più di 29 giorni (ma anche in questo caso la fissazione a priori di un termine generale potrebbe essere illegittima) e la prestazione è revocata, qualora l’assenza prosegua, dopo un anno dalla sospensione. Anche in questo caso tuttavia, i giudici ritengono che le eventuali assenze vadano valutate caso per caso e dunque è bene rivolgersi ad associazioni e patronati per un esame della situazione. Al fine di non avere successive richieste di restituzione o sanzioni amministrative, è bene comunicare all’INPS l’assenza dal territorio nazionale quando si prevede che la stessa si protragga oltre i 29 giorni.
Che cos’è l’indennità di disoccupazione (NASPI e DIS-COL)?
La prestazione NASPI spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che hanno perduto involontariamente l'occupazione o in caso di dimissioni per giusta causa e di dimissioni entro l’anno di nascita del figlio. Dall’1° gennaio 2022 l’unico requisito richiesto è avere 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti la cessazione. La domanda deve essere presentata all'INPS entro 68 giorni dal licenziamento o dalla fine del periodo di maternità indennizzato; però se la domanda è presentata dopo l’ottavo giorno, il trattamento decorre dalla domanda. In ogni caso non spetta per il periodo coperto dall’indennità di preavviso. La DIS-COL è invece l’indennità di disoccupazione che spetta ai lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS e può arrivare a un massimo di 12 mesi, in relazione ai mesi lavorati nell’anno precedente la cessazione. Per queste prestazioni non sussistono problemi quanto ai cittadini stranieri perché vengono riconosciute a tutti i lavoratori che hanno i requisiti contributivi.
Che cos’è l’assegno di inclusione (AI)?
Introdotto con D.L. 48/2023 (conv. in L. 85/2023) quale nuova misura di inclusione sociale e lavorativa, è entrato in vigore dal 1° gennaio 2024. L'importo dell'Assegno di inclusione è non inferiore a € 480 annui e non superiore a € 6.000 annui, o € 7.560 annui (sempre al ricorrere di determinate condizioni), moltiplicati per il corrispondente parametro della scala di equivalenza. A tale importo, può essere aggiunto un contributo per l'affitto dell'immobile dove risiede il nucleo (fino ad un massimo di € 3.360 annui). Il beneficio è erogato mensilmente per un periodo continuativo non superiore a 18 mesi e può essere rinnovato, previa sospensione di un mese, per ulteriori 12 mesi. Allo scadere dei periodi di rinnovo è sempre prevista la sospensione di un mese. I componenti del nucleo familiare, di età compresa tra 18 e 59 anni, attivabili al lavoro, sono tenuti ad aderire ad un percorso personalizzato di inclusione sociale o lavorativa (sono esclusi i beneficiari di età pari o superiore a 60 anni, con disabilità o affetti da patologie oncologiche, con carichi di cura – cioè con figli di età inferiore a 3 anni, oltre ad altre categorie - inseriti nei percorsi di protezione per donne vittime di violenza) e ogni 90 giorni sono tenuti a presentarsi ai servizi sociali, o presso gli istituti di patronato, per aggiornare la propria posizione. In caso di mancata presentazione, il beneficio economico è sospeso. Per i beneficiari di età compresa tra 18 e 29 anni che non hanno adempiuto all'obbligo scolastico, nel patto di inclusione sarà previsto l’impegno all’iscrizione e alla frequenza di corsi funzionali all’adempimento del predetto obbligo, pena la decadenza dal beneficio. Inoltre, non avrà diritto all’assegno il nucleo familiare per i cui componenti minorenni non sia documentato l’adempimento dell’obbligo di istruzione. Il beneficiario è tenuto ad accettare un'offerta di lavoro che abbia le seguenti caratteristiche:
  • lavoro a tempo indeterminato senza limiti di distanza sul territorio nazionale (salvo in caso di presenza di figli minori di 14 anni: in tal caso l'offerta va accettata se il luogo di lavoro non eccede la distanza di 80 km dal domicilio o, comunque, è raggiungibile in massimo 120 minuti con i mezzi di trasporto pubblico);
  • rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale non inferiore al 60% dell'orario a tempo pieno;
  • retribuzione non inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi;
  • contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, qualora il luogo di lavoro non disti più di 80 km dal domicilio o sia raggiungibile in non oltre 120 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.
Il beneficiario ha l’obbligo di comunicare ogni variazione riguardante le condizioni ed i requisiti di accesso alla misura ed al suo mantenimento (ad es. la variazione di redditi, nucleo familiare, avvio di attività lavorative subordinate o autonome, etc.) a pena di decadenza del beneficio.
A chi spetta l’assegno di inclusione?
L'Assegno è riconosciuto ai nuclei familiari che abbiano almeno un componente in una delle seguenti condizioni:
  1. con disabilità;
  2. minorenne;
  3. con almeno 60 anni di età;
  4. in condizione di svantaggioe inserito in programma di cura e assistenza dei servizi sociosanitari territoriali certificato dalla pubblica amministrazione.
Con Decreto Ministeriale del 13 dicembre 2023, il Ministero del lavoro ha elencato i soggetti che possono rientrare nella categoria d) sopra indicata, ma tale elencazione non deve considerarsi esaustiva: vengono spesso segnalati casi di persone non prese in carico dai servizi sociali, pur essendo in condizioni di oggettivo svantaggio, che perdono pertanto la possibilità di accedere alla prestazione. Quanto ai requisiti di cittadinanza, la prestazione spetta:
  • ai cittadini italiani o comunitari;
  • ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo;
  • ai familiari extra-UE di cittadini comunitari;
  • ai titolari di protezione internazionale e apolidi.
È richiesta inoltre la residenza in Italia da almeno cinque anni, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo (sulla legittimità di tale requisito potranno però essere rilevanti le decisioni delle Alte corti relative all’analogo requisito previsto per il Reddito di cittadinanza, sebbene qui dimezzato). L’esclusione dei cittadini stranieri titolari di tutti gli altri permessi di soggiorno nonché per assenza del requisito di lungo residenza, specialmente nel caso di soggetti in carico ai servizi sociali o con permessi per vittime di violenza o di tratta, pare in contrasto con il principio di ragionevolezza: la questione potrà essere sottoposta alle autorità giudiziarie. Quanto ai requisiti economici, il nucleo familiare deve avere un ISEE inferiore a € 9.360 e un reddito familiare inferiore a € 6.000 annui (o € 7.560 annui in determinate condizioni di età e disabilità) moltiplicati per il parametro della scala di equivalenza.
Che cos’è il supporto formazione e lavoro (SFL)?
Introdotto con D.L. 48/2023 (conv. in L. 85/2023) quale nuova misura di “attivazione al lavoro”, è entrato in vigore dal 1° settembre 2023. La misura è compatibile con l’attività lavorativa, dipendente o autonoma, purché il reddito percepito non superi le soglie per accedere alla misura; pertanto devono essere comunicati eventuali rapporti di lavoro già in corso al momento della domanda, nonché ogni altra variazione occupazionale che intervenga nel corso del periodo di ricezione della prestazione. Per usufruire della misura è richiesta la sottoscrizione di un Patto di servizio personalizzato e la frequentazione di un corso o altra iniziativa di attivazione lavorativa (progetti di formazione e accompagnamento al lavoro, di qualificazione e riqualificazione professionale, politiche attive del lavoro, comunque denominate, progetti utili alla collettività, servizio civile universale); il beneficio è condizionato, pena decadenza, all’effettiva partecipazione alle predette attività. È previsto un importo a titolo di indennità di partecipazione alle misure di attivazione lavorativa, di 350 euro al mese, erogato per tutta la durata del corso o di altra misura di attivazione lavorativa, entro un limite massimo di 12 mesi, tramite bonifico mensile da parte dell'INPS. Il beneficiario ha l’obbligo di comunicare la variazione di redditi, patrimonio immobiliare o mobiliare, nucleo familiare, ogni ulteriore variazione riguardante le condizioni ed i requisiti di accesso alla misura ed al suo mantenimento, a pena di decadenza del beneficio.
A chi è rivolto il supporto formazione e lavoro?
È rivolto ai singoli componenti di nuclei familiari, di età compresa tra i 18 e i 59 anni e in possesso di determinati requisiti.  Quanto ai requisiti di cittadinanza, la prestazione spetta:
  • ai cittadini italiani o comunitari;
  • ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo;
  • ai familiari extra-UE di cittadini comunitari;
  • ai titolari di protezione internazionale e apolidi.
L’esclusione dei titolari di permesso unico lavoro appare in contrasto con la direttiva 2011/98, art. 12, c. 1, lett. c e h, ma sul punto non vi sono ancora pronunce. È richiesta inoltre la residenza in Italia da almeno 5 anni, di cui gli ultimi 2 anni in modo continuativo (sulla legittimità di tale requisito potranno però essere rilevanti le decisioni delle Alte corti relative all’analogo requisito previsto per il Reddito di cittadinanza, sebbene anche qui dimezzato). Quanto ai requisiti economici, il nucleo familiare deve avere un ISEE inferiore a euro 6.000 e un reddito familiare inferiore a euro 6.000 annui, moltiplicati per il corrispondente parametro della scala di equivalenza (oltre a ulteriori limiti di patrimonio mobiliare e immobiliare).
Chi può accedere alle prestazioni di invalidità?
Vi possono accedere i residenti in Italia, cittadini italiani e comunitari e cittadini stranieri con un regolare permesso di soggiorno della durata di almeno un anno (ex art. 41 TUI). Nel caso di titolari di permesso per cure mediche di durata inferiore a 1 anno, alcuni Tribunali hanno riconosciuto comunque la spettanza del diritto, in particolare se gli interessati erano stati titolari, in passato, di diversi permessi che, cumulati, superavano la durata di 12 mesi complessivi. È necessario presentare una domanda amministrativa di accertamento sanitario (preceduta dall’invio del certificato medico redatto dal medico di famiglia, dallo specialista o dal medico del Patronato).
Cos’è l’assegno ordinario di invalidità?
Prestazione rivolta a persone la cui capacità lavorativa è ridotta a meno di un terzo per infermità fisica o mentale, che abbia maturato determinati requisiti contributivi (5 anni di assicurazione e 260 contributi settimanali - cinque anni di contribuzione - di cui 156 - tre anni di contribuzione - nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda). L’importo dell’assegno è calcolato sulla base dei contributi versati e la prestazione ha validità triennale, ma può essere rinnovata su richiesta dell’interessato. L’erogazione è compatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma l’assegno è ridotto nell’importo. Al compimento dell’età pensionabile e in presenza di tutti i requisiti, l'assegno ordinario di invalidità viene trasformato d'ufficio in pensione di vecchiaia.
Cos’è l’assegno mensile di assistenza?
Prestazione rivolta a persone di età compresa tra i 18 e i 67 anni, con una riduzione parziale della capacità lavorativa (compresa tra il 74 e il 99%), con limiti reddituali indicati annualmente dall’INPS (il limite di reddito personale annuo per il 2024 è pari a € 5.725,46: si considerano tutti i redditi imponibili agli effetti Irpef).  La prestazione è compatibile con l’attività lavorativa, sia da lavoro dipendente che autonomo, fino a determinati limiti di reddito (€ 8.145,00 per il lavoro dipendente, € 4.800,00 per il lavoro autonomo). L'importo dell’assegno mensile, che spetta per 13 mensilità annue, per il 2024 è pari a € 333,33.
Cos’è la pensione di invalidità?
Prestazione rivolta agli invalidi totali (invalidità al 100% e permanente) di età compresa tra i 18 e i 67 anni, con limiti reddituali indicati annualmente dall’INPS (il limite di reddito personale annuo è pari per il 2024 a € 19.461,12 e si considerano tutti i redditi imponibili agli effetti Irpef). L'importo dell’assegno mensile spetta per 13 mensilità annue e per il 2024 è pari a € 333,33. Al compimento del 67° anno di età, in luogo della pensione di invalidità viene erogato l'assegno sociale.
Cos’è l’indennità di accompagnamento?
Prestazione erogata a favore dei soggetti invalidi totali per i quali è stata accertata l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore oppure l’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita e che quindi necessitano di assistenza continua. Non sono richiesti requisiti di reddito o di età. Per il 2024, l'importo è pari a € 531,76 ed è erogato per 12 mensilità annue. Il pagamento dell’indennità viene sospeso in caso di ricovero a totale carico dello Stato per un periodo superiore a 29 giorni.
Cos’è l’indennità di frequenza?
Prestazione finalizzata all’inserimento scolastico e sociale, riconosciuta ai minori di anni 18 per i quali sia stata accertata una condizione di difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età, nonché ai minori ipoacusici, che soddisfano i requisiti sanitari e amministrativi previsti dalla legge. È necessario che i minori frequentino centri ambulatoriali pubblici o convenzionati, specializzati in trattamenti riabilitativi o terapeutici o scuole pubbliche o private, o centri di formazione professionale. Il limite di reddito annuo è stabilito annualmente (per il 2024 è pari a euro € 5.725,46 e si considerano tutti i redditi imponibili agli effetti Irpef). L'importo dell’assegno mensile spetta per 13 mensilità annue e per il 2024 è pari a € 333,33.

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