La prestazione (disciplinata dall’art. 3, comma 6, della L. 335/1995) va richiesta all’INPS e spetta a coloro che risiedono in Italia in via continuativa da almeno 10 anni, che abbiano compiuto 67 anni e che risultino in possesso di risorse economiche inferiori ai limiti previsti dalla legge (per il 2022 il reddito massimo è euro 6.075,30 o 12.170,60 con il coniuge).
Spesso l’INPS interpreta in modo restrittivo il requisito dei 10 anni di presenza negando la prestazione anche a chi, nel corso dei 10 anni, si è assentato solo temporaneamente.
In tali casi è possibile proporre ricorso perché la maggioranza dei giudici non condivide tale interpretazione restrittiva.
Quanto ai requisiti di cittadinanza la prestazione spetta:
- ai cittadini italiani o comunitari;
- ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo;
- ai familiari extra-UE di cittadini comunitari;
- ai titolari di protezione internazionale e apolidi.
Restano esclusi tutti gli altri cittadini stranieri, in particolare i titolari di permesso unico lavoro. La Corte costituzionale (sent. 50/2019) ha ritenuto legittima tale esclusione. Sono tuttavia pendenti alcuni giudizi volti a sottoporre la questione alla Corte di Giustizia Europea, con riferimento alla direttiva 2011/98 e dunque ai titolari di permesso unico lavoro.
L’assegno viene sospeso se il titolare soggiorna all'estero per più di 29 giorni; dopo un anno dalla sospensione, la prestazione è revocata.
Anche in questo caso tuttavia, i giudici ritengono che le eventuali assenze vadano valutate caso per caso e dunque è bene rivolgersi ad associazioni e patronati per un esame della situazione.