Il provvedimento di diniego deve essere motivato e notificato al cittadino straniero.
Contro il diniego è ammesso ricorso al Tribunale ordinario del luogo in cui risiede l’interessato.
Il Permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può essere richiesto anche per i seguenti familiari a carico:
Il beneficio assumeva la denominazione di Pensione di cittadinanza se il nucleo familiare era composto esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni. Poteva essere concesso anche nei casi in cui il componente o i componenti del nucleo familiare di età pari o superiore a 67 anni convivessero con una o più persone di età inferiore se queste si trovano in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite ai fini ISEE.
La Pensione di Cittadinanza si rinnovava in automatico senza necessità di presentare una nuova domanda e durava quindi al sussistere dei requisiti di reddito.
Valgono le stesse considerazioni di cui sopra per gli eventuali procedimenti di recupero o penali pendenti.
L’assegno spetta:
La legge non richiede che il familiare sia “a carico” o sia convivente, ma prevede una rilevante differenza tra italiani e stranieri a seconda del luogo in cui i familiari risiedono:
A seguito di due sentenze della Corte di Giustizia Europea del 25 novembre 2020 e della sentenza Corte Cost. 67/2022, questo trattamento differenziato è stato dichiarato in contrasto con le direttive UE sui titolari di permesso di lungo periodo e sui titolari di permesso unico lavoro. Pertanto i titolari di questi due tipi di permesso possono ora ottenere, per i 5 anni antecedenti la domanda, il pagamento degli assegni in relazione ai familiari residenti in Patria o comunque all’estero, producendo i documenti indicati nella circolare INPS n. 95 del 2.8.2022, nei limiti delle effettive possibilità di reperimento della documentazione dello stato estero.
In caso di risposta negativa dell’INPS devono proporre ricorso amministrativo e poi ricorso al giudice, rivolgendosi a patronati e associazioni.
Spetta alle donne lavoratrici che non percepiscono l’indennità di maternità ordinaria e che abbiano requisiti contributivi minimi (la lavoratrice deve infatti far valere o tre mesi di contribuzione nel periodo tra 18 e 9 mesi antecedenti il parto, oppure tre mesi di lavoro anche in periodi antecedenti purché non siano passati più di 9 mesi tra la perdita del trattamento di disoccupazione e la data del parto).
Se ci sono questi requisiti contributivi è conveniente chiedere questa indennità e non l’indennità di maternità "dei Comuni", perché questa è di importo più elevato (per il 2024 € 2.488,14).
Per quanto riguarda i titoli di soggiorno, valgono le medesime questioni sopra esposte per l’indennità di maternità dei Comuni.
La prestazione (introdotta con legge n. 46/21 e con d.lgs. 230/2021) è entrata in vigore il 1° marzo 2022 ed è attribuita alle famiglie per ogni figlio minorenne a carico e fino alla maggiore età o, al ricorrere di determinate condizioni, fino ai 21 anni di età; in caso di disabilità del figlio, l’assegno unico è riconosciuto senza limiti di età.
Per figli “a carico” si intendono quelli inclusi nel nucleo familiare ai fini ISEE e dunque, se minorenni, i figli che convivono con i genitori; i figli maggiorenni (18-21 anni) sono considerati a carico anche se non conviventi, purché siano a carico ai fini IRPEF (quindi con redditi inferiori a 4.000 euro), non siano sposati e non abbiano figli.
L’importo è stabilito in base al valore ISEE del nucleo familiare e al numero figli, tra un minimo di 57 euro e un massimo di 199 €. L’AUU assorbe quasi tutte le altre prestazioni a sostegno della famiglia, ovvero: premio alla nascita o all’adozione, assegno al nucleo familiare, assegno di natalità - cd. bonus bebè, detrazioni fiscali per figli fino a 21 anni (restano applicate le detrazioni per i figli 21 – 24 anni se studenti e quelle per il coniuge a carico).
A differenza dei precedenti assegni al nucleo familiare, si tratta di una prestazione “universale” cioè non più collegata alla condizione di lavoratore: spetta quindi anche a lavoratori autonomi e disoccupati.
Al momento del raggiungimento della maggiore età, lo straniero titolare di un permesso di soggiorno per motivi familiari ha diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di esigenze sanitarie, di lavoro subordinato o autonomo. Tuttavia, una applicazione rigida della predetta normativa escluderebbe tutti quei casi, assai frequenti nella realtà odierna, in cui il giovane appena maggiorenne non abbia ancora reperito una attività lavorativa e non sia, al contempo, iscritto ad un corso di studi universitario o professionalizzante, vanificando, in questo modo, anni di integrazione sul territorio nazionale. Per tale ragioni le prassi amministrative delle singole Questure, armonizzate con la Circolare del Ministero dell’Interno del 28 marzo 2008, prot. n. 17272/7, si sono orientate verso il riconoscimento del diritto del figlio maggiorenne, ancora a carico dei genitori, a rinnovare il proprio permesso di soggiorno per motivi familiari, a fronte della sussistenza dei requisiti di reddito ed alloggiativi
Il minore straniero che è presente sul territorio nazionale con uno o entrambi i genitori – oppure con una persona che lo rappresenta legalmente, ad esempio l’affidatario o il tutore – ne segue la condizione giuridica.
Nel caso in cui il genitore o il suo rappresentante legale siano regolarmente residenti sul territorio nazionale al minore è rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari sino alla maggiore età. La predetta disciplina trova applicazione in favore sia dei minori che sono entrati in Italia con il ricongiungimento familiare prima dei 14 anni sia dei figli di cittadini stranieri nati in Italia, mentre ne sono esclusi i minori stranieri che hanno fatto ingresso sul territorio nazionale ormai ultraquattordicenni. In tal caso, infatti, sarà loro rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari con durata pari a quella del titolo di soggiorno detenuto dal familiare già residente in Italia.
Il genitore di un minore cittadino italiano può ottenere un permesso di soggiorno in ragione della condizione di non espellibilità derivante dalla convivenza con il figlio ovvero un permesso di soggiorno per motivi familiari a fronte della dimostrazione della non decadenza dalla potestà genitoriale.
In tal caso il rilascio del titolo di soggiorno prescinde sia dalla pregressa regolarità del soggiorno del genitore sia dalla effettiva convivenza di quest’ultimo con il figlio minore.