Il contratto di apprendistato è un contratto di lavoro subordinato, riservato ai lavoratori di età tra i 15 ed i 29 anni, in cui è prevista insieme all’attività lavorativa anche un’attività di formazione sia pratica che teorica.
Al termine del periodo di apprendistato, se nessuna delle parti recede, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Al contratto di apprendistato è associato un piano formativo che - salvo il caso dell’apprendistato professionalizzante - è predisposto da un’istituzione formativa con il coinvolgimento di un’impresa.

Sotto il profilo del trattamento retributivo, vige il divieto di retribuzione a cottimo e inoltre il datore di lavoro può inoltre sotto-inquadrare l’apprendista fino a due livelli inferiori rispetto a quello spettante agli addetti alle medesime mansioni al cui conseguimento il contratto è finalizzato.

Esistono 3 tipologie di apprendistato:

  1. apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore;
  • è strutturato in modo da coniugare la formazione effettuata in azienda con l’istruzione e la formazione professionale svolta dalle istituzioni formative che operano nell’ambito dei sistemi regionali di istruzione e formazione ed è riservato ai giovani tra i 15 ai ed i 25 anni.
  • La durata è determinata dalla qualifica o diploma da conseguire e non può essere superiore a 3 anni (estesa fino a 4 anni in specifici casi ).
  • Il datore di lavoro deve sottoscrivere un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, che stabilisce il contenuto e la durata degli obblighi formativi del datore di lavoro.

2. apprendistato professionalizzante,

  • è volto al conseguimento di una qualifica professionale, ai fini contrattuali ed è rivolto ai giovani tra i 18 ed i 29 anni (17 se hanno già la qualifica).
  • Gli accordi interconfederali e i CCNL fissano, in relazione alla qualificazione professionale ai fini contrattuali da conseguire, la durata e le modalità’ della formazione nonché la  durata anche minima del periodo di apprendistato, che non può essere superiore a 3 anni.
  • La formazione svolta sotto la responsabilità del datore di lavoro, è integrata dall’offerta formativa pubblica, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte ore massimo di 120, nel triennio, disciplinata dalle regioni e dalle province autonome.

3. apprendistato di alta formazione e ricerca,

  • si tratta di un contratto di apprendistato per il conseguimento di titoli di studio universitari e di alta formazione, nonché per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche, che può essere stipulato con soggetti di età’ compresa tra i 18 e i 29 anni, in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore o altri titoli ritenuti dalla norma equipollenti a tal fine.
  • Il datore di lavoro deve sottoscrivere un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto o con l’ente di ricerca, che stabilisce la durata e le modalità della formazione a carico del datore di lavoro. La formazione esterna all’azienda è svolta nell’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto.

Può capitare che il contratto di apprendistato si risolva in un rapporto di lavoro ordinario in cui non è svolta attività formativa e semplicemente il lavoratore viene pagato meno: in tali casi è possibile rivolgersi ad una organizzazione sindacale o ad un legale per verificare la possibilità di rivendicare la costituzione di un ordinario rapporto di lavoro, con diritto al pagamento delle differenze retributive spettanti.

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Il contratto con soggetto titolare di partita iva è stipulato in occasione di un lavoro autonomo e non subordinato.
Un esempio tipico è il contratto di prestazione d’opera, che è caratterizzato dalla mancanza del vincolo di subordinazione poiché il lavoratore lavora autonomamente, non è sottoposto al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del proprio committente. Il lavoratore può dunque organizzare autonomamente il proprio lavoro, orari, modalità, organizzazione con mezzi propri in virtù dell’obbiettivo che il contratto prefigge cioè la realizzazione di un’opera materiale o intellettuale. Viene previsto un compenso che però è legato al risultato da raggiungere e non all’orario di lavoro.
Generalmente le parti si accordano in merito al corrispettivo da pagare e alle tempistiche per la realizzazione del lavoro commissionato o attraverso un contratto di prestazione d’opera o attraverso una lettera di incarico.
Tutti i lavori in cui di fatto è prevista una subordinazione gerarchica e organizzativa (il lavoratore ha orari fissi, lavora con mezzi propri dell’imprenditore, in luoghi di sua proprietà e riceve direttive precise a cui si deve attenere) dovrebbero essere stipulati con la forma del lavoro subordinato e non con il pagamento della retribuzione mediante partita iva.

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In caso di svolgimento di prestazioni di lavoro autonomo occasionale (ossia aventi carattere episodico e in assenza di coordinamento con l’attività del committente), fino alla soglia di reddito di € 5.000 nell’anno solare - considerando la somma dei compensi corrisposti da tutti i committenti occasionali -, si ha diritto all’esenzione dall’obbligo contributivo.

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Si tratta di un contratto di lavoro subordinato in cui il datore di lavoro ha la facoltà di chiamare il lavoratore che abbia sottoscritto il contratto secondo le proprie necessità cioè “a chiamata”, nel rispetto di un termine minimo di preavviso. Il lavoratore viene pagato solo per i giorni di effettivo lavoro (salvo che abbia garantito al datore di lavoro la propria disponibilità’ a rispondere alle chiamate, nel qual caso gli spetta l’indennità’ di disponibilità) e dunque non ha alcuna garanzia di svolgere la prestazione lavorativa.
I casi di utilizzo sono individuati nei CCNL e in appositi decreti.
Questa tipologia di contratto può, in ogni caso, essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, o con più di 55 anni.
La legge stabilisce un numero massimo di 400 giornate in cui il lavoratore può essere chiamato nel corso di un triennio. Tale limite non opera nei settori del turismo, pubblici esercizi e spettacoli.

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L’appalto è il contratto con cui un datore di lavoro (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, l’obbligazione di compiere in favore di un altro soggetto (committente appaltante) un’opera o un servizio, in cambio di un corrispettivo economico.

Può accadere dunque che l’attività lavorativa del dipendente sia svolta in favore di un soggetto terzo (è il caso ad esempio delle cooperative che svolgono servizi di logistica).


La società appaltante è obbligata in solido con l’appaltatore, entro 2 anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali maturati nell’appalto.
L’appalto è legittimo se l’appaltante svolge l’effettiva gestione di un servizio con propri uomini e mezzi.
Capita talvolta che, dietro formali contratti di appalto, si nascondano invece intermediazioni illegittime di manodopera, cioè situazioni in cui, di fatto, il lavoratore opera sotto le direttive dell’appaltante ed è inserito nella sua organizzazione aziendale, pur essendo formalmente assunto da altro soggetto. In tali casi è possibile rivolgersi ad una organizzazione sindacale o ad un legale per verificare la possibilità di rivendicare la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dirette dell’appaltante.

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Può accadere che il contratto di lavoro subordinato non sia stipulato direttamente dall’azienda che necessita del lavoratore, ma tramite una agenzia di somministrazione (es. Temporay, Adecco, Gi Group) a cui l’azienda utilizzatrice ha chiesto la fornitura di personale.
Il contratto con il lavoratore in questo caso è stipulato dall’agenzia di somministrazione e può anch’esso essere a tempo indeterminato (c.d. staff leasing: in tal caso il contratto deve indicare l’importo dell’indennità mensile di disponibilità, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione) ovvero a termine.
I lavoratori somministrati hanno diritto a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello assunti direttamente dall’azienda.
L’azienda utilizzatrice è obbligata in solido con l’agenzia di somministrazione a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi ed a versare i relativi contributi previdenziali. 

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Il lavoratore che riceva una lettera di licenziamento ha 60 giorni di tempo per proporre impugnazione.
L’impugnazione deve essere inviata in forma scritta e con un mezzo idoneo a dare data certa (raccomandata a.r., pec,etc...).
Tale atto non richiede particolari formalità e può essere fatto personalmente o con l’assistenza di un sindacato o di un avvocato.
I lavoratori possono ottenere assistenza ed essere messi in contatto con legali con esperienza in diritto del lavoro dagli uffici tecnici delle principali organizzazioni sindacali.
Dalla data di invio dell’impugnazione decorrono ulteriori 180 giorni per la proposizione di eventuale ricorso giudiziale al Giudice del lavoro, con l’assistenza obbligatoria di un avvocato.
Le conseguenze di un licenziamento illegittimo mutano in base alla data di assunzione ed alle dimensioni aziendali oltre che ai motivi di licenziamento.
Nel caso di soci di cooperativa che vengano contestualmente licenziati ed esclusi da socio, il termine per proporre il ricorso giudiziale avverso l’esclusione da socio è di soli 60 giorni dalla data di comunicazione dell’esclusione stessa, è necessario pertanto rivolgersi al un legale nel tempo più breve possibile.
Tutti i lavoratori entro 68 giorni dal licenziamento devono fare anche la domanda di Naspi (indennità disoccupazione) all’INPS. La procedura è telematica e può essere fatta personalmente o per il tramite di un patronato o CAF.

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Il contratto di lavoro subordinato è stipulato quando un datore di lavoro intenda assumere un lavoratore alle proprie dipendenze affinché lo stesso svolga specifiche mansioni sotto le sue direttive, in un determinato luogo ed in un orario vincolato.
Le principali caratteristiche del rapporto di lavoro (orario settimanale, retribuzione, maggiorazioni per straordinario o festivo, ferie etc.) sono indicate nel Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) che fissa anche i minimi retributivi. Il CCNL applicato viene generalmente indicato nella lettera/contratto di assunzione e nella comunicazione UNILAV.
Il contratto di lavoro subordinato può essere a tempo pieno, quando l’orario lavorativo è pari a 40 ore settimanali o alla diversa durata prevista per il tempo pieno dal CCNL oppure a tempo parziale, se l’orario di lavoro è ridotto. In questo secondo caso la percentuale di part time e la collocazione oraria devono essere indicati nel contratto.
Il contratto di lavoro subordinato può essere:

  • a tempo determinato, in questo caso nel contratto di assunzione è indicato il termine del rapporto che potrà essere di durata massima fino a 12 mesi, estendibile a 24 mesi ma solo al ricorrere di determinate condizioni (casi previsti dai CCNL, esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, sostituzione di altri lavoratori).
  • a tempo indeterminato, in questo caso non è previsto un termine di durata ed il rapporto di lavoro prosegue fino a quando il datore di lavoro non procede al licenziamento o il lavoratore non si dimette o interviene un'altra causa di interruzione.
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Possano partecipare ai concorsi pubblici per tutte le posizioni di lavoro che non comportino l’esercizio di pubbliche funzioni, e fatta salva la necessaria conoscenza della lingua italiana, oltre ai cittadini italiani anche:

  • i cittadini comunitari ed i loro familiari regolarmente soggiornanti;
  • i cittadini non comunitari titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • i titolari di permesso per protezione internazionale (status di rifugiato o di protezione sussidiaria).

Le posizioni di lavoro pubblico che comportano lo svolgimento diretto o indiretto di pubblici poteri o che attengono alla tutela dell’interesse nazionale restano riservate ai cittadini italiani (esempi: dirigenza pubblica, magistratura, avvocatura dello Stato, funzionari di alcuni ministeri).

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Tutti i permessi che recano la dicitura “permesso unico lavoro” consentono di lavorare, anche alcuni permessi che non recano tale dicitura consentono l'esercizio di attività lavorativa, talvolta senza condizioni, altre con limitazioni. 

È possibile lavorare con diverse tipologie di permesso:

  • lavoro subordinato;
  • lavoro autonomo;
  • lavoro stagionale (per attività stagionali);
  • motivi familiari;
  • richiesta protezione internazionale (dopo 60 giorni dalla richiesta);
  • protezione sussidiaria;
  • asilo politico;
  • apolidia;
  • protezione umanitaria/protezione sociale/calamità;
  • protezione speciale (consente di lavorare ma la sua convertibilità o meno in permesso per lavoro dipende dalla data in cui è stato richiesto e conseguente normativa che è stata applicata per il suo rilascio);
  • attesa occupazione;
  • studio, tirocini formativi (consente di lavorare part time fino a 20 ore settimanali);
  • permesso soggiorno UE di lungo periodo;
  • permesso per titolari carta Blu UE (inizialmente limitatamente alla tipologia di lavoro per cui è rilasciato);
  • residenza elettiva;
  • assistenza minori (art. 31 T.U. Immigrazione) (consente di lavorare ed è convertibile in permesso per lavoro);
  • permesso ex art. 27 T.U. Immigrazione (limitatamente alla specifica categoria di attività per cui è stato concesso);
  • permesso familiari cittadini italiani;
  • carta familiari cittadini UE.

I permessi per lavoro subordinato /lavoro autonomo /attesa occupazione/ motivi familiari, consentono di svolgere qualsiasi attività lavorativa, e al momento del rinnovo è rilasciato permesso per l’effettiva attività svolta (es: un cittadino straniero titolare di permesso per motivi familiari può lavorare ed alla scadenza ottenere permesso per lavoro subordinato o autonomo se sta svolgendo tale attività senza dover aspettare l’emanazione di un decreto flussi).

Il permesso per studio o tirocinio può essere convertito in permesso per lavoro nell’ambito delle quote stabilite dal decreto flussi.

Non è più necessario verificare disponibilità di quote per procedere alla conversione, serve tuttavia munirsi di nulla osta da richiedere con procedura telematica al SUI di competenza. L’invio telematico avviene tramite il Portale servizi del Ministero dell’Interno (https://portaleservizi.dlci.interno.it/AliSportello/ali/home.htm).

Può essere convertito in permesso di lavoro al di fuori delle quote il permesso per studio di stranieri che abbiano conseguito, a seguito di frequenza del relativo corso di studi in Italia, un titolo di studi universitario (diploma di laurea triennale, specialistica o magistrale, dottorato, master, diploma di specializzazione o di perfezionamento post laurea in presenza di specifiche caratteristiche quanto a crediti e durata).

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